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GUIDO SAVIO : DOLCEZZA

Dolcezza

 

 

 

“Mister Rice ci aveva provato – nobile attenzione – a dare alla figlia un nome nel quale, chissà, potesse essere racchiuso un karma. Lui, amante delle buona musica, lo aveva colto in quelle partiture dove l’autore raccomandava all’esecutore una particolare morbidezza. Forse chiamandola in quel modo, gli sembrava di donare un accompagnamento beneaugurante alla vita della futura bimba. Ma non andò come aveva fantasticato ascoltando un concerto, o accanto allo stereo di casa. La figliola infatti, per un errore, fu iscritta all’anagrafe di Birmingham, in Alabama, come Condoleezza e non già Condolcezza. E, forse anche sulla scia di un destino forzato da qual piccolo scarto di sillabe, la signorina Rice, passo dopo passo, seguì una strada che l’avrebbe portata al ruolo di Consigliere per la Sicurezza degli Stati Uniti d’America e a essere tra i principali promotori e registi di guerra del pianeta” (Fausto Manara, Forte come la dolcezza, Sperling e Kupfer editori).

Si parla dunque di dolcezza (magari conferita come nome “sbagliato ad un ufficio anagrafe dell’Alabama ad una figlia che poi saprà farne l’uso che sappiamo).

Io vedrei la  dolcezza  come una “possibile via di soluzione” (appunto ai conflitti) che può crescere, animare, rendere più possibili e pratiche tutte le forme di salute delle relazioni ( a partire dall’amore e dal lavoro, che sono quelle che garantiscono a tutti noi, appunto, la salute, per finire alla Società e allo Stato).

“Se la dolcezza fosse una forma di debolezza, se fosse soltanto il contrario della violenza, e il segno infamante di un’impotenza, non si capisce come sarebbe potuta sopravvivere, tanto a lungo, a tutti i suoi nemici”. Così si apre Il Piccolo elogio della dolcezza, un bel libro  scritto da Stéphane Audeguy, edito da Archinto.

Un testo leggero, ironico, a volte paradossale, per capire a cosa possa servire oggi la dolcezza.  Il titolo infatti stupisce. In una società aggressiva come la nostra, che posto conserva questo sentimento, spesso confuso con la mancanza di determinazione, e quindi, con l’atteggiamento di chi sembra votato all’autocastrazione, all’insuccesso? E poi quale tipo di dolcezza? “Quella che- dice l’autore – non è affatto una forma di debolezza, non è  un aspetto del non poter fare, anche se rifiuta di essere uno dei volti del potere”.

 

Ma la dolcezza è tutt’altro che debolezza. Dolcezza è accettazione, capienza, disponibilità. In questo senso una grande forza.

 

Ecco direi che la pratica della dolcezza è la pratica del “lasciarsi andare”, del non difendersi, del non nascondersi all’altro. Che tanto se l’altro ha intenzioni cattive verso di noi le porta in porto sia che noi ci difendiamo sia che noi non lo facciamo.

La dolcezza è la prova della nostra non inibizione, oltre quella della nostra maturità. I figli lo chiedodono ai genitori di essere dolci (autorevoli ma non autoritari). Gli allievi lo chiedono ai loro maestri. Noi tutti lo chiediamo alle persone che vivono con noi (che amiamo e che ci amano).

 

La forza della dolcezza è quella che maggiormente rassicura, quella che maggiormente protegge.

 

La dolcezza sarà “sincerità” nel rapporto, in tutti io rapporti, nel senso della accettazione di se stessi e del proprio limite a nella forza del perdono per se stessi e per l’altro. Ma la dolcezza “necessariamente” deve avere a che fare con la naturalezza, la dolcezza non si può fingere, la dolcezza “è allergica alle strategie” (Manara).   La dolcezza ha “necessariamente” a che fare con il corpo: il corpo del bambino, la carezza, il toccare, lo stringere, il lisciare la pelle, il “trattare bene” insomma. Sappiamo che chi non è stato trattato bene nel proprio corpo bambino, difficilmente tratterà bene il corpo adulto dell’altro. Essere dolci con l’altro è prestargli quella attenzione che noi vorremmo fosse rivolta a noi. Il nostro desiderio più grande è quello di essere pensato bene e possibilmente dolcemente dall’altro. Io aggiungerei, “dalla dolcezza” del pensiero dell’altro. E dunque dalla reale concretezza nel rapporto: l’uno che fa il bene dell’altro. E reciprocamente.

  GUIDO SAVIO