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IL SEGRETO DA TENERE STRETTO

DA SOLI PENSIAMO – CON GLI ALTRI VIVIAMO

Ognuno di noi è un po’ intimista. Ognuno di noi è un po’ solipsista. Ognuno di noi è un po’ (tanto) narcisista.

Quello che vorrei dire è che esiste una estrema differenza tra il nostro dire (dunque il nostro essere pubblici e oggettivi nel mondo) e il nostro pensiero intimo.

Quando noi siamo soli, pensiamo. Non possiamo pensare “assieme” agli altri. La solitudine del pensare resta il massimo della nostra privatezza e della nostra onestà, nonchè la parte maggiormente eminente della nostra originalità.

Se parlo con l’altro perdo in profondità e penetrazione. Il pensiero vero e intimo mio di me avviene quando si addentra nel cuore della condizione mia umana, e vuole farsi pensiero completo, che tutto racchiude e sa di me, costeggia addirittura il sacro che io posso rappresentare.

Quello che diciamo è bene poca cosa rispetto a quello che pensiamo: il pensiero è il piombo che scende nella profondità del mare senza nulla chiedere se non la sua profondità. Quello che noi diciamo è l’esca che in qualche modo vuole catturare qualcosa, forse un piccolo pesce. Tra le due istanze esiste la corrente sottomarina, che porta di qua e di là.

E’ pure vero tuttavia che quando noi parliamo siamo più …universali, più capibili, più oggettivi, più umani. Infatti se io parlo di un amore, di un padre, di un figlio, di un paese, di un dolore, di un lutto… parlo di una realtà che tocca tutti: è solo un esempio, una modalità per risalire dal fenomeno particolare al fenomeno generale.

Ma se io penso alle stesse esperienze e le taccio nel mio pensiero…non è la stessa cosa. Sento il respiro del mio pensiero che è solo mio e non potrà mai essere di tutti. Ma solo mio. E nel “solo mio” io vivo.

Invece parlando all’altro parlo di un mio io diverso da quello che penso, a volte avverso, a volte contrario. Il pensare più intimo spesso contraddice il nostro dire. Quante volte ci siamo scoperti, dopo una conversazione con amici o con amanti, falsi e bugiardi? Esatto. Proprio perchè il nostro dire non è mai abbastanza suffragato dal nostro tacere.

Il tacere allora, il coltivare il segreto, il non essere disponibili all’altro possono diventare i presupposti del nostro vero io, dell’io solitario, dell’io taciturno, dell’io represso, dell’io balbuziente che sta tutto dentro di noi, e non accede alla parola. Taccio perchè penso.

A volte abbiamo voglia di scomparire, con il nostro corpo e con la nostra parola; a volte abbiamo voglia di riposare sotto un tetto che non trasmetta nessuna notizia; a volte abbiamo bisogno di sentirci prezioni nella nostra unicità silenziosa e solitaria.

Siamo sempre alla ricerca di una vita in solitudine, di una vita ulteriore, più intensa e vera, più poetica e meno rumorosa che quella che viviamo tutti i santi giorni.

Questo per dire solo che il pensiero nostro, segreto, umile, puro, debole, mortale, è il supporto di tutta la nostra vita,

Dire non è il nostro essere, ma un semplice approssimarci all’essere. All’essere della nostra “verità”. Ma la verità non esiste e noi dunque dobbiamo acontentarci del pensiero nostro che ce la fa annusare, solo annusare. Nulla di più: diffidare del dire.

Eppoi lo sappiamo tutti che le parole si arrendono alla evidenza del silenzio. Alla sommità dei pensieri c’è il tacere.

Noi dobbiamo sapere nascondere. Ogni confessione totale è una resa e un atto infantile: chi non conserva segreto e tacere si espone all’attacco dell’ignoranza (dell’altro).

Un pezzo di infanzia, un affetto rimosso o mal compensato, un crimine compiuto o solo intenzionale, l’innoquo pensiero di una nostra debolezza, sono solo “atti” della nostra identità che sola richiede silenzio per essere capita.

Non possiamo offrirci integralmente allo sguardo dell’altro, fosse anche lo sguardo più caro, più amato e più amante. L’altro non può sopportare la nostra intera rivelazione.

Una vita senza segreti ci si stanca a tenerla in braccio, perchè è come una creatura a peso morto. Chi sa tutto di te deve sobbarcarsi un peso insostenibile che non reggerà alla lunga. Allora correrà a dividerlo con altri proprio per non esserne schiacciato.

Se vuoi vivere devi prima di tutto stimarti, devi sottrarre allo sguardo qualcosa che è dentro alla tua mente, un chiodo che sanguina e che fa male alle tempie e a volte fa sangue nei sogni.

Allora nella solitudine c’è la nostra vera pelle, il nostro vero pensiero, il nostro vero respiro. Il nostro segreto è il nostro punto di forza. Il bambino addormentato si sveglia e ha fame di essere.

Chi abbracccia la solitudine vive con disincanto una sovranità senza regno, una sovranità umana e caduca, ma sua.Chi vive la solitudine non lo spaventa il pensiero della fine perchè ha capito che la vita è altrove: la grazia scende dall’alto, e il nostro stile di vita tende verso l’alto. Con forza, passione e dolore.

L’impossibilità di condividere i frutti del nostro pensiero con l’altro sono insieme lo iato e la fonte madre della sofferenza della nostra vita. Ma da questa mancanza dobbiamo partire. Non possiamo comunicare a nessuno il senso intimo del nostro pensiero, la gioia e il travaglio della nostra ricerca. Ma da qui dobbiamo partire.

A volte questa solitudine del pensiero, questa assolutezza, può spingerci a sentirci complici dell’universo, complici di dio, suoi figli prediletti. Ma questo è solo un eccesso di amore che noi abbiamo per noi stessi: nessuno si aspetta tanto da noi.

La solitudine del nostro pensare costa, ma nessuno ci ha chiesto di pagare il prezzo.

Allora la nostra anima sola può dirci qualcosa. Può “dirci” parole e sensi perchè il corpo è dentro all’anima e non viceversa. Noi siamo corpo. E il corpo dice sempre la verità. Con la sua anima dentro. Soli siamo e soli rimarremo: se troppo simili agli altri fossimo forse non potremmo vivere il nostro vero io, il senso della nostra vita, l’amore per noi stessi e per gli altri, il desiderio di vivere e la accettazione della morte.

Guido Savio