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”SE VUOI ESSERE FELICE, REALIZZA(TI)”

FELICITA’ E REALIZZAZIONE DI SE STESSI

“SE VUOI ESSERE FELICE, REALIZZA(TI)”

La felicità, se mai questa parola possa davvero avere una realtà a cui riferirsi, si lega alla realizzazione di sé. Salvatore Natoli ha modo di scrivere che la felicità esiste: “ non perchè gli uomini ne possiedano il concetto, ma perché talvolta ne sperimentano la condizione” (S. Natoli, La Felicità. Saggio di teoria degli affetti, Feltrinelli, Milano 1996, p. 11).

Ma a mio modo di vedere non basta l’esperienza, ci vuole il pensiero. La felicità non può essere dimenticata, può essere perduta come esperienza ma non come bagaglio storico, come nostra ricchezza, non può essere persa come “pensiero”. Continua Natoli: “Rispetto al dolore che inchioda, stringe e costringe, la felicità lambisce, balena e dispare. (…) Per questo la felicità appare come un bene transitorio, mentre il dolore si rivela condizione più abituale e consueta” (S. Natoli, op. cit. p. 12).

Per questo l’essere felici a volte ci si presenta come una fatica, perché è difficile la “conservazione”, è difficile la ripetizione della sua esperienza e dunque noi siamo obbligati intendere la nostra felicità come “un pensiero di essere felici”. Ma noi possiamo “ripetere l’esperienza” se dentro di noi c’è il “suo” pensiero. Pensiero della realizzazione della nostra vita. Pensiero sul bilancio, non necessariamente quello finale. Non basta l’esperienza, ci vuole il pensiero.

Non a caso la malinconia è un cedimento di questo pensiero sulla nostra realizzazione, è l’incapacità di rilanciare nel nostro futuro la stessa esperienza di felicità, è il non vedere il bene che nella vita abbiamo avuto.

Realizzare se stessi equivale al “Diventa ciò che sei” di Nietzsche, con tutti i dubbi e i drammi che noi conosciamo quando dobbiamo rispondere alla domanda: “Ma io chi sono?”. Ma sul conoscere se stessi ho scritto in altra sede. Qui mi interessava solamente un pensiero sulla felicità, che è quel nostro pensiero su noi stessi, a partire da esperienze avute e che non devono andare perdute, che sostiene che “posso essere felice”, ne ho diritto.

Come Democrito: “Felicità e infelicità sono fenomeni dell’anima, la quale prova piacere o dispiacere a esistere a seconda che si senta o non si senta realizzata” (Democrito, fr B170).

Realizzazione che io vedo nel “crescere realmente nella vita”, come cresce un bambino, passando costantemente da una condizione in cui “era” meno a una condizione in cui “è” più.

Guido Savio

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