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VUOI? (SULLA VOLONTA’)

SULLA VOLONTA’

 

“Se stai attaccato alla terra, sai sempre dove andare” recita un proverbio dei natives dell’Alaska: voler cambiare la propria natura è scappare dalla propria terra, anche se non è sempre facile riconoscere e vivere la propria natura. Ma poi dobbiamo capire se la nostra natura è sempre vicina alla nostra volontà.

 

Allora la cosiddetta “volontà” è un dato naturale insito nell’uomo? Un talento fin dalla nascita?

Molto spesso noi imputiamo specie i nostri figli di “scarsa buona volontà”.

Ma questa cosiddetta “buona volontà “uno dove la pesca?

Se si dice che uno ha i talenti matematici, i talenti letterari, i talenti informatici, etc., si sa perfettamente di che cosa si parla. Si parla di uno che il Signore l’ha baciato e gli ha detto che “tu farai più facile degli altri a fare certe cose (ma magari ti ingarbuglierai su altre)”.

Mi sono sempre chiesto se la “buona volontà” sia un deposito che qualcuno ha lasciato nella tasca di ognuno di noi, per cui se quello lì ci mette la mano dentro e la tira fuori diventa un soggetto virtuoso e realizzato (dalla buona volontà): ma se la mano quello là se la tiene in mano e non la mette nella tasca della cosiddetta volontà saranno…cavoli suoi?: negligenza, indolenza, falsa superbia, inadattabilità, pigrizia, etc. sono i termini più gettonati per definire lo “scarso di volontà”.

Una signora ieri, nel corso di una seduta, mi ha fatto un discorso di questo genere, in riferimento alla figlia che non aveva assolutamente buona volontà per studiare e mandava a rotoli tutti gli investimenti genitoriali.

Questa signora e madre mi diceva che, a sua volta, sua madre “leggeva” la matematica, la intuiva, la apprendeva senza il minimo sforzo. A risolvere poi i quiz di logica per la ammissione alla facoltà di medicina, lei ci provava gusto, da settantenne, sapendo quanti rampolli ventenni si sarebbero arenati sulle stesse domande.

Ma la nipote non aveva assolutamente niente della nonna, e neppure della madre.

Mi diceva questa signora che quelli della madre, e anche i suoi, erano talenti, e che le figlia non li possedeva, ne era priva, e non sarebbe di certo bastata la cosiddetta “buona volontà”.

Alla mia domanda se la “buona volontà” fosse un talento lei mi ha risposto perentoria che semmai lo fosse sarebbe stato un talento di serie B o di serie C e che in ogni caso la figlia non ne era dotata.

Alla mia pressione sul capire se lei ritenesse la “buona volontà” un talento innato per cui o uno ce l’ha o uno non ce l’ha, lei glissava sul fatto che la buona volontà è un “esercizio”, una “applicazione (una app.)” ma che non poteva intendersi come dono di dio, come quello per la matematica della sua mamma. E della ragioneria di se stessa.

Allora, uscendo dal contesto della (ed è una mia domanda di sempre) volontà uno se la può dare come il coraggio di don Abbondio? Ovvero che uno o ce l’ha o non ce l’ha, oppure la volontà è davvero una risorsa di cui noi possiamo usufruire se noi mettiamo la mano in tasca e la tiriamo fuori, e se non lo facciamo siamo degli indolenti e sfaticati?

Non credo ci sarà mai risposta a questa domanda.

“Mettici un po’ di buona volontà”, a mio modo di vedere, è una della frasi più offensive, nonché ansiogene, che una persona (specie nel rapporto genitori-figli) può rivolgere ad un altra.

Per me sarebbe come dire “Risolvimi questo problema di trigonometria sapendo che tu ancora stai studiando la differenza tra le frazioni proprie, improprie ed apparenti”.

A mio modo di vedere la “volontà” non è un talento e non è nemmeno un comportamento.

Salta fuori solo se c’è motivazione.

E la motivazione è un dato personale e relazionale. Ovvero, se qualcosa o qualcuno mi interessa allora io ci metto buona volontà, altrimenti….no. Mio padre, mia madre, mio zio, il prete, l’allenatore di calcio-pallacanestro-hokey-pallavolo, il mio amico che ha (anche se non all’anagrafe) qualche anno più di me.

La volontà, ne sono convinto, nasce da un modello che noi abbiamo (o non abbiamo) davanti al naso nella nostra storia.

Qui nel Veneto si dice, ad una persona che non eccelle per buona volontà” : “Te ghe la brosa sul colo (hai la crosta sul collo)”. Sintomo cutaneo caratteristico dello scorbuto che colpiva i marinai del ‘600, ‘700, ‘800 per carenza di vitamina C nei lunghi tragitti marittimi e che comportava, oltre che astenia e inedia, un netto crollo della volontà di fare.

Allora c’era colpa? C’era responsabilità dei singoli marinai? C’è responsabilità nella figlia della mia paziente che evidentemente vive perennemente il proprio scorbuto?

E anche a questa domanda è difficile rispondere.

Quando i miei insegnanti di liceo dicevano a mia madre che ci dovevo metterci più buona volontà a scuola, la mia cara mamma veniva a casa e mi diceva a parole e anche a fatti che…la dovevo tirare fuori dalla tasca la buona volontà per fare meglio a scuola, e se non lo facevo ero un lavativo. Uno che lo faceva apposta. Ma io già allora sapevo che non lo facevo apposta.

E già da allora capivo che la buona volontà non era un mio talento. Né di serie A, né di serie B. Lo sarebbe diventato molto più avanti negli anni, e al quale talento ora riconosco la salvezza della mia vita.

Ma allora ero un lavativo perché non avevo motivazione per greco e latino, ma l’avrei trovata solo l’anno seguente, cambiando insegnante, ovvero cambiando la motivazione per cui studiavo greco e latino.

La cosiddetta “buona volontà” è sempre una questione relazionale”: qualcuno te la deve fare venire (e un altro no), non è un talento di serie A e neppure di serie B scolpito nella roccia.

 

La buona volontà, è quella che consente di volgersi alla realizzazione del Bene (ma è necessario sempre chiederci se il suo raggiungimento e la sua messa in pratica, siano poi degli atti liberi, ma più che liberi, facibili, alla portata della nostra mano che si mette in tasca e si tira).

La mia domanda in questo scritto è poi alla fin fine se la volontà sia “volibile”, se basta volerla la buona volontà per avercela, oppure c’è sempre un ostacolo che, se anche tu la vuoi, non ti viene mai. E resti al palo.

La volontà è la facoltà del volere; potere insito nell’uomo di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati, o, più genericamente, disposizione a fare qualche cosa. La natura della volontà costituisce un tema di riflessione per la filosofia sia in quanto questa si propone di comprenderne la struttura interna, sia in quanto si prospetta la questione del rapporto della volontà con le altre forme e attività dello spirito” (Agostino, La Città di Dio).

Oltre Agostino, posso sempre io dire che posso scegliere un comportamento anziché un altro, così…liberamente?

Sentirmi dire dunque che “… devi tirare fuori la volontà” io l’ho sempre vissuta come una frase offensiva oltre che aggressiva.

Dunque, dal rovescio della medaglia, dovrei dire che la (buona) volontà non la si può volere.

Ora come ora io  starei  su questa seconda condizione. Non sempre volere è un verbo che ha un corpo immediatamente o facilmente disponibile.

E dei disperati che vediamo nelle strade delle nostre città possiamo dire che non hanno volontà? Che si buttano volontariamente di notte sui loro cartoni per dormire?

Come altrettanto potremmo dire che la realizzazione dello yuppy della Quinta Strada è stata la realizzazione della sua volontà? Perché ha avuto “buona volontà”? Ma che poi anche lui si sarà buttati sui suoi ….”cartoni” per chiudere la disperazione della loro giornata?

Posso io dire che nella mia malinconia basta che abbia un po’ di “buona volontà per venirne fuori?”

Posso dire che chi ne è venuto fuori lo deve alla propria “buona volontà”?

A queste domande, onestamente non so rispondere. Anche perché nel lungo tempo del mio lavoro ad ascoltare persone, non ho mai capito se la risoluzione dei loro problemi (quando ciò si sia mai verificato) sia stato frutto della messa in moto e pratica della propria “buona volontà”, oppure un mix di incoscienza, inconscio, caso, destino, fede, applicazione, dedizione alla causa, disinteresse per la causa stessa, lasciarsi andare, vivere la propria spontaneità, magari mettendo in atto quella bella frase di Giorgio Gaber che io ho sempre citato in lungo e in largo e che recita: “Se ho fatto del bene a qualcuno, spero di non averlo fatto apposta”. Ovviamente a partire da me stesso. Restiamo attaccati alla nostra natura, come i natives della Alaska (se mai la conosciamo). Forse la nostra natura, conoscendola, sarà il motore più potente che  metterà in moto la nostra pur flebile volontà.

 

GUIDO SAVIO