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” E IL GALLO CANTO’ ” (SULLA DEBOLEZZA) PARTE SECONDA

SULLA DEBOLEZZA

PARTE SECONDA

L’umanità è tutta qui, nel passaggio da un capo all’altro, passaggio che è possibile perché tutti gli uomini hanno la stessa materia che conduce la scossa iniziale: la debolezza. Se gli uomini sono infilati per uno spago… eccolo, altri non ce ne sono di più forti. Pietro chiama tutti noi alla tolleranza. Ci chiama al perdono, ma ci chiama perché anche noi avremmo tradito Cristo per tre o trenta volte. La catena non si rompe. D’accordo. La debolezza può essere anche danno per gli uomini. Io con la mia debolezza posso portare danno all’altro. Forse come Pietro può avere portato danno a Cristo. C’è un limite alla debolezza, quello del dolo. Ma chi si erge a giudice? E se anche qualcuno emette la sentenza, come essa entrerà mai nella debolezza degli uomini? “ E mentre attraversava il fiume sulla chiatta e poi mentre saliva la collina, guardando verso il villaggio natio e verso occidente, dove il tramonto freddo e purpureo brillava in una stretta fascia, pensava che la stessa verità e la stessa bellezza che guidavano la vita degli uomini nell’orto degli ulivi e nel cortile del sommo sacerdote, erano continuate senza interruzione fino a quel giorno, e sicuramente avevano costituito la parte essenziale della vita degli uomini, e in generale della terra quaggiù; e un sentimento id giovinezza, di salute, di forza – aveva solo ventidue anni – e l’attesa inesprimibilmente dolce di una felicità sconosciuta, misteriosa, si impadronirono a poco a poco di lui e la vita gli sembrò meravigliosa, magnifica e piena di un alto significato”.

Cecov ci dice che la stessa verità e la stessa bellezza corrono sulla strada della debolezza che avvince e accomuna tutti gli uomini. La catena. La catena che unisce tutti gli avvenimenti: universale, storia, catena. Qui la storia dell’uomo è tenuta assieme dal filo esilissimo di una debolezza umana. La storia umana è una storia di debolezze, non di battaglie o guerre vinte.

Noi siamo un pezzettino che continua altri pezzettini. Noi non potremmo amare se non avessimo i pezzettini che ci hanno preceduto. Se non avessimo avuto altri che ci hanno preceduto, altri che ci hanno insegnato. Se non fossimo un anello della catena non ci sarebbe né precedente né successivo. Saremmo un “momento assoluto” e dunque invivibile.

In amore si dà quello che non si ha. Si offre la propria debolezza, la mancanza perché venga dall’altro riempita. E noi veniamo amati per quello che non siamo, per la mancanza che costituiamo di fronte agli altri.

E’ il vuoto che chiama l’altro. La vela porta la barca non perché il vento le spinge dietro ma perché la spinta del vento sulla vela determina un vuoto, una mancanza, una assenza che risucchia, che chiama. Nel Primo Quaderno Simone Weil porta l’esempio della vela, ed è chiarissimo.

“Nel nome dell’amore”, come nella canzone, l’altro è attratto dalla mia mancanza, non dalla mia potenza.

La debolezza in Cecov è un sentimento di (riprendo le parole del testo):

a – giovinezza: il giovane studente sente la propria giovinezza. E’ l’essere figli nella condizione di coloro che domandano. Essere figlio, giovane, uomo, colui che ama. E’ il vivere la condizione del saper domandare. Domandare presuppone la ammissione di debolezza. L’altro che mi risponde prova piacere nel rispondermi. Qui la relazione e l’amore. Le debolezza è moneta di scambio nella relazione. Il fatto che io faccia della domande significa che mi lancio nel futuro. Noi siamo ciò che diverremo.

b – salute: in tutta questa catena, quella dell’amare la condizione della debolezza, lo studente vede la salute. Che cos’è la salute? La salute sarebbe una disgrazia se costituisse un pensiero che si sovrappone alla condizione oggettiva di salute. Salute è pensarci sani, ma con una mancanza, con una debolezza. Il 100% non esiste, anzi, fa ammalare. Nel senso che da questo punto noi non sapremmo “scendere”, non sapremo accettare la mancanza futura e la debolezza futuribile. La salute non può essere un “tutto pieno”, sarebbe una condanna, un dover essere insopportabile e angoscioso La salute è il prodotto di un nostro pensiero. All’interno del quale è chiaro che c’è la debolezza.

c – forza: la forza viene fuori dalla continuità. Da quello che prima vedevo come un impedimento, una paura, un ostacolo insormontabile e che poi mi appare… alla mia portata. Forza è ammissione della propria vergogna. La soddisfazione non è un traguardo ma il camminare, il viaggiare. La forza è la ciclicità della catena di Cecov. La debolezza ci rimanda alla relatività. Noi possiamo sfoderare verità e certezze? Il nostro pensiero ha la forza per reggerle? E poi esse esistono?

Io sono convinto che la pretesa della verità è la vergogna della stessa debolezza. Ma della debolezza… non c’è niente da vergognarsi.

2 . Il pensiero debole ( Vattimo e Deleuze)

“In un villaggio sperduto nella foresta equatoriale, viveva una tribù di ciechi. Un giorno capitò in mezzo al villaggio un elefante. Superata l’iniziale paura, ciascuno uscì dalla propria capanna per scoprire che cosa fosse quella cosa che aveva fatto tanto rumore e aveva alterato l’ordine abituale delle cose. Ad uno ad uno iniziarono a toccare l’animale per riconoscerlo e dire la propria dopo la prima carezza. ‘E’ un tronco caduto dal cielo’ disse il primo, che aveva toccato una zanna’. ‘No, è un gigante alto otto metri’ disse con terrore colui che aveva toccato una zampa. ‘Non c’è bisogno di urlare tanto – disse il teroz carezzando la proboscide – è solo una giraffa morente’. ‘ Aiuto! – gli fece eco un altro che era stato pizzicato dai peli della coda – c’è un’invasione di serpenti velenosi! Sono sttao morso!!!’. Ma solo qualcuno lo seguì nella fuga, mentre gli altri rimasero al villaggio, a litigare tra loro perché non trovavano una soluzione plausibile sulla identità dello strano essere sconosciuto che aveva sconvolto la loro vita. Ci fu anche chi decise du fare ‘ come se niente fosse’, semplicemente beffandosi di quelli che invece si azzuffavano pretendendo di possedere tutta quanta la verità su questo inaspettato evento e, ovviamente, la soluzione giusta da adottare ”.

La pretesa della verità è la vergogna della debolezza: questo lo mettiamo per iscritto!!!

Il pretendere la verità è la condizione per cui noi non accettiamo la nostra debolezza.

Che cosa succede in questa storiella?

La verità è pur sempre un pieno, un contenitore pieno di qualche cosa, all’interno del quale non ci sta… altro. E nel nostro discorso sappiamo quanto abbiamo bisogno di vuoti da riempire. Le verità certo esiste ma la relazione, la debolezza, la storia, la vita, il futuro, lo stare assieme agli altri…. Chiamano spazio, chiamano tempo. Tanto spazio e tanto tempo in cui la verità può anche essere vacante.

3 – La verità

La vita è andare a riempire qualcosa, a partire dal rapporto sessuale: si va a riempire sempre qualcosa proprio perché è mancante, è vuoto. Non è la verità in sé e per sé che spaventa, ma sono i cosiddetti possessori della verità, e guarda caso i possessori di verità sono quelli che più hanno rogne nella relazione con gli altri. Proprio perché manca il pensiero di mancanza, dunque manca il pensiero di riempire e di essere riempiti. Manca il pensiero di debolezza.

Dopo verrà la parola tolleranza, ma i presuntuosi che parlano con la verità in mano non hanno capito la forza della debolezza.

Ma torniamo alla storiella della foresta. Perché i Pigmei, se così possiamo definire quegli abitanti di quel villaggio, non hanno riconosciuto l’elefante? Perché manca la visione d’assieme e manca anche la relatività della conoscenza. Relatività della conoscenza significa che la mia conoscenza ce l’ho nella relazione con un altro. Viene fuori dal rapporto reciproco.

La relatività dei punti di vista significa che il mio punto di vista viene fuori da una relazione.
>br> Il mio pensiero (e qui il pensiero debole di Vattimo e Deleuze), in questo senso deve essere relativo. Poi io vivo le mie cose con passione, con entusiasmo, ci credo, voglio che nessuno me le tocchi. Ma questa non è contraddizione con la relatività, con il fatto che io tiro fuori la “verità” solo dal rapporto con un altro.

L’orgoglio, all’opposto della relazione, è quello di dire che la verità ce l’ho in tasca io. Chi più predica certe cose è perché più è mancante in queste cose (ma mancanza negativa).

Cristo è venuto al mondo e ha fatto quello che ha fatto solo perché ha vissuto la propria debolezza. Morire in croce soffrendo, da uomo sofferente… perché ha fatto della conoscenza la storia della relazione di Dio, del Padre con gli uomini . Anche se ha detto… vi porto la verità, la via e la luce! Ma vi porto anche la spada. E in questo senso è’ stato il tramite tra una realtà superiore e gli uomini. Altrimenti non ci sarebbe stata relazione.

Tornando al nostro discorso, quello che interessa è che a questa tribù africana manca la visione d’assieme. La visione d’assieme ti porta da un’altra parte rispetto alla sedicente verità. Più io ho capacità di relativizzare, di vedere le cose dall’alto, tanto più mi avvicino alla visione d’assieme tanto più concepisco in modo relativo la verità.

A che cosa serve la visione d’assieme? Ma la visione d’assieme è la pratica con cui io ammetto la mia debolezza, ma nello stesso tempo la faccio lavorare.

Senza con questo cadere nella negatività del pensiero debole, nel senso… “tutto va bene, ovvero niente va bene”.

Guido Savio

(continua)

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