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L’IO SALTA FUORI DAL TU (PARTE QUARTA)

NUDITA’ DELL’IO. A PARTIRE DAL SESSO. (PARTE QUARTA)

A questo punto è ovvio che la crisi avviene nel registro dell’amore meritato e non già di quello garantito. La crisi si dà nel momento in cui è dabile la scelta. E se non c’è scelta non c’è amore. La crisi mortifera è il fermarsi prima della crisi oppure scotomizzarla.

Il sesso, la crisi (scernere) sono la stessa cosa: distacco.

Da “I Discorsi di Buddha”: “O monaci, tutto brucia (…) bruciano i sensi (…) brucia l’udito (…) tutto brucia (…) O monaci, vedendo tutto ciò il nobile discepolo che ha assimilato gli insegnamenti è serenamente disincantato (…) perchè attraverso il sereno distacco (nirvana) egli diviene privo di attaccamento. In virtù del non attaccamento ottiene la liberazione”. Ovvero l’amore si ottiene nel regime di libertà e non in quello dell’attaccamento. Si ottiene nel regime della differenza, del distacco e non in quello della appropriazione o della finalizzazione della propria azione. L’amore viene gratis, quando viene. Se c’è crisi e distacco dalla oggettualizzazione dell’altro, crisi dal volerlo a tutti i costi, allora c’è relazione. Il distacco dei desideri è la democrazia dell’amore. Solo se l’altro non temo di perderlo ho la possibilità di amarlo e il distacco anche dall’altro stesso, come momento della crisi, è un tempo per amare.

La relazione passa per forza attraverso la crisi come passa attraverso la differenza che è sancita dal sesso e la relazione si conforma alla propria vivibilità in una condizione che io non esiterei a definire “emozione”. Emozione che significa che c’è continuo movimento, c’è una mozione che potremmo leggere sia nella accezione appunto del movimento ma anche in quella della domanda. Emozione significa sbilanciamento, rischio e anche coraggio. Emozione significa motivazione: l’altro mi offre l’occasione per il mio movimento a patto che io sappia cogliere in me la non opposizione al rapporto. Prima sì. Poi si vedrà strada facendo. E’ questa la regola del superamento della inibizione. Emozione che io vedrei come stato contrario alla presupposizione che l’amore, per essere tale, debba essere tranquillo, pacificatore. In amore non esiste la “pax romana”, l’ accomodamento. Esiste invece la crisi come momento di sanzione della validità del rapporto stesso. Se non c’è crisi nel rapporto duale madre/figlio al figlio sarà precluso il sesso del suo futuro. Certo che il bambino sa anche dare un ordine alla proprie domande. Sa chiedere per ottenere. Si tratta di valutare sempre se nel chiedere del bambino verso la madre ci sia relazione. Ovvero siano salvi i posti di Soggetto e di Altro. Che il bambino sappia che non può solo chiedere ma deve anche saper rispondere: in questo modo è salvaguardata la relazione, la cosiddetta intercambiabilità dei posti. Chiaro che nessuna madre ama “infantilmente” (ma ci sono sempre le madri patologiche) il proprio bambino, ma la questione non è il pensiero della madre, ma quello del bambino sull’amore che la madre “dovrebbe” corrispondergli. Il bambino non ha ancora realizzato il pensiero che per diventare se stesso deve” attraversare” l’altro, non ha ancora “ragione” della legalità della soddisfazione e quindi è portato a sentire l’intervento materno come qualcosa di garantito. Il bambino non vede lontano insomma, ma guarda sempre la punta dei suoi piedi.

Noi arriviamo al Tu distaccandoci. Cioè accettando la crisi come momento precedente la soluzione della crisi e così via. Quando io ho dentro di me una emozione e la taccio, saltano tutti i passaggi che abbiamo fatto finora nel percorrere la strada dell’amore. Salta la legalità dell’amore sull’altare della “pax romana”, cioè della incapacità di reggere la mia emozione come determinata dall’altro. Incapacità di reggere la mia emozione come stato di sbilanciamento felice e prolifico verso l’altro. Magicità quasi della emozione che mi porta dove non conosco al di fuori della presupposizione di trovare un amore presupposto: questo è sesso. Vivere la relazione al di fuori della presupposizione nell’incontro con la differenza del desiderio dell’altro. Nel momento invece in cui io dico l’emozione significa denudo il mio corpo affinchè l’emozione diventi comune. Questo è il distacco vitale. Adamo ed Eva sono diventati uomini e donne nel momento in cui si ritrovarono nudi. “ Questo sei tu”. Io sono la mia emozione in quanto è il Tu che me la muove, che me la motiva, che me ne offre l’occasione. Io da solo non mi emoziono, l’emozione presuppone non solo la presenza dell’altro ma anche la mia disponibilità a non oppormi al rapporto.

“Come l’individuo descritto da Sartre mentre è interamente assorbito da quanto vede ed è improvvisamente costretto a prendere coscienza di sé dallo sguardo dell’altro”. Questo scrive ancora Bodei nel suo “Geometria delle passioni”. E’ ancora il Tu che mi dà la mia identità nel momento in cui mi determina la emozione nei suoi confronti. Emozione che mi è data anche dal semplice fatto che egli posi il suo sguardo su di me. E’ l’essere desiderato il momento del mio essere Io. E’ lo sguardo dell’altro il momento della sanzione della mia esistenza. E’ lo sguardo dell’altro il momento della mia “vocazione”. Di dare senso alla mia vita attraverso l’amore, sentimento sul quale verrò giudicato alla fine della mia esistenza. Adamo e Eva non sarebbero riusciti a prendere atto della loro identità, ovvero essere uomini e essere donne se non dallo sguardo di Dio, dallo sguardo di un Altro. Il cerchio si chiude: noi siamo noi nella nudità vista dall’altro. Io ti do la mia storia ma te la do da nudo. Glasnost, trasparenza, farsi guardare dentro. Ed io do all’altro la mia trasparenza nella accezione della mia stessa emozione. Dio è sesso in quanto in quanto il suo sguardo li fa diventare Adamo da una parte ed Eva dall’altra. Uomini da una parte e donne dall’altra. Irigaray: “Nel mondo ci sono e ci sono soltanto uomini e donne”. Se quei due non fossero stati visti dalla sguardo di Dio non ci sarebbero stati né uomini né donne e dunque non ci sarebbe stato neppure sesso. Dio è sesso in quanto non è presupposto ma meta di un viaggio, di un cammino. Fine e merito.

Non è che Dio abbia fatto iniziare la storia del mondo nella pace. Anzi, ha emozionato Adamo ed Eva proprio perché si mettessero in moto, in eccitazione, in vocazione, in agitazione, se si vuole prendere per buona questa parola. Dio non ha scelto la stabilità per dare corso alla storia. A ben guardare, quando il Tu mi eccita, mi agita, Io gli chiedo che con gli stesi strumento con cui mi ha eccitato, mi riporti alla pace, a quello che Freud intendeva come “principio di costanza”, al “principio di inerzia”, per poi iniziare nuovamente il giro della ruota. Ma la eccitazione non verrà mai tolta definitivamente. Il momento della cosiddetta risoluzione non è il momento della risoluzione dell’eccitazione, ma è il momento della, usiamo un termine moderno, dello “stand by” della eccitazione. Noi sappiamo certamente che essa tornerà se vogliamo la relazione. Heidegger parla di Bezug come tensione al centro, all’equilibrio ma a partire da un costante disequilibrio. C’è amore, c’è un altro e un oltre, c’è agitazione solo per chi è in viaggio. Viaggio autentico, non il Valtour ma il viaggio in cui la meta si fa giorno per giorno. Allora il viaggiatore è “Capax mundi”, nel senso che il viaggiatore è disposto a esporsi. Il rischio, questa è la verità. Viaggio è rischio, di perdere anche la strada. Ma quale sarebbe la alternativa? Quella di morire all’avvenire. Chiuso in una casa non farò brutti incontri ma nella mia casa sarà la morte. Il cadavere per l’appunto non si agita. E la stessa narrazione della nostra storia viene rielaborata dal altre persona non come mattone ma come materia da rielaborare. In questo senso la parola dell’altro è salvifica per noi. Anche i sassi, anche i macigni, anche le offese non sono la fine, c’è sempre un oltre. Se pensiamo alla parola greca “Aletheia”, che significa verità, la quale si può tradurre anche come “agitazione divina”. “alè” e “Theia”, oppure “cammino del dio”, come se la verità non fosse qualcosa di dato, un punto di partenza, ma il dato da cui muovermi. Esperimento, cammino, lavoro… me ne ritorna una vita come esperimento, come viaggio per l’appunto. La verità è sempre davanti. Non c’è mai perché è sempre nella pagina successiva del libro, nel passo oltre a quello che abbiamo fatto in questo momento. Perché viaggiare significa errare, sbagliare, non avere la certezza. Ma avere un motivo, una motivazione, una emozione. L’amore è avere una emozione come l’odio è non avere nessun motivo (per odiare l’altro). Questo è il vero scandalo (con la pietra dello scandalo, cioè dell’inciampo, poi si costruisce il tempio) della nostra esistenza: accettare la scommessa che l’altro non è presupposto, non è il “soggetto posto sapere di Lacan”, cioè colui che noi vogliamo che sia come vogliamo noi perché così fa le cose al posto nostro, ci offre garanzia e sicurezza. In questo senso i ruoli della nostra società sono così diversificati e frastagliati in quanto ognuno espleta il proprio ruolo su di una fetta ristrettissima di sapere. Ma noi non abbiamo nessuna certezza del sapere dell’altro. Solo fede. Per questo siamo agitati. La questione della pietra dello scandalo ci dice che non possiamo preventivare nella nostra vita. Significa che quello che noi troviamo per strada lo troviamo perché qualcun altro lo ha messo lì o lo ha addirittura dimenticato. E’ chiaro che ognuno nella relazione porta all’altro i propri inciampi. Ognuno nella relazione porta la propria salute ma anche la propria patologia. Sarebbe impensabile che all’interno di tutti questi bei discorsi non esistesse la difficoltà oggettiva, il dolore vero, la tristezza spigolosa, la incomprensione più acida. Esiste anche la fatica. Quella che Qohelèt ci invita a evitare. Anche se noi sappiamo che la fatica non è un dato oggettivo ma un pensiero. Chi lavora quindici ore in miniera fa fatica, ma non ha pensiero di fatica.

L’altro ci spiazza ma proprio per questo ci fa camminare. L’altro sbaglia lui, e sbagliando lui fa sbagliare anche noi: questo è il vero scandalo. Noi siamo fatti di certe cose e del contrario delle stesse cose. Siamo mescolati.

E sulla agitazione in amore non trova di meglio che un frammento di Saffo: “Mi scuote amore, come vento sulle montagne piomba”.

Guido Savio Guido Savio

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